Il conto delle minne by Giuseppina Torregrossa

Il conto delle minne by Giuseppina Torregrossa

autore:Giuseppina Torregrossa [Torregrossa, Giuseppina]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
ISBN: 9788852025891


XVIII

Una notte nonna Agata ebbe un incubo e all’improvviso cominciò a urlare nel sonno. Scoprire che anche lei, sempre tanto allegra e solida, era visitata da brutti sogni, sciolse la mia timidezza. Fu l’occasione per confessare le mie paure. Nonna Agata parlò a sua volta ai miei genitori e io finii a dormire in camera con mio fratello Sebastiano. Ma questo provvedimento non migliorò le cose.

Mio padre era in uno dei suoi periodi di straordinario nervosismo dovuti al troppo lavoro, ai problemi economici e soprattutto a un’ambizione sfrenata, che lo sollecitava verso traguardi che allora sembravano lontanissimi, irraggiungibili. Lo stipendio era magro, la famiglia numerosa e non c’era molto da scialare. Quando i miei fratelli e io eravamo a letto, papà esplodeva in liti furibonde, urlava alla mamma, infine andava a dormire sul divano. Conoscevo poco i miei genitori e tutto quel movimento notturno mi dava un perenne senso di pericolo e mi faceva sentire continuamente in colpa. La rissa esplodeva all’improvviso: il letto scombinato, il pianto del più piccolo dei miei fratelli, l’insalata lavata male, la camicia fuori posto, ogni scusa era buona, mio padre si comportava esattamente come il nonno Sebastiano.

Tutti i giorni all’imbrunire mi montava dentro un senso di inquietudine che diventava angoscia nel cuore della notte, anche quando era tutto tranquillo. All’alba, sfinita, prendevo sonno, ma dopo poco era l’ora di andare a scuola. Non avevo la forza di alzarmi e mia madre, che come al solito evitava di interrogarsi in proposito, mi chiamava una, due, dieci volte.

«Agata, sbrigati, ti vuoi alzare o no?» ma io non la sentivo.

«Agata, vatti a lavare che arrivi tardi», e io mi giravo dall’altra parte.

«Agata, finiscila di fare storie e andiamo a scuola.» Io affondavo sempre di più nel materasso di lana e mi accartocciavo sotto le coperte, ché la casa non aveva il riscaldamento.

«Agata, spicciati!» La voce di mia madre adesso si alzava di un’ottava. «Questa picciridda proprio non ne vuole sapere di studiare, è intelligente ma non ha gana di fare niente» parlava da sola nella sua stanza mentre rifaceva il letto. «Agata, se non ti alzi lo dico a tuo padre!» Mio padre mi faceva una gran paura, era un orco con le fauci spalancate. Raccoglievo allora le poche forze e in quattro e quattr’otto ero nell’ascensore.

Fu allora che cominciai a mangiare tutto quello che trovavo. Avevo una fame inesauribile e ingollavo dolci, caramelle, pane e burro, e pure uno strano miscuglio che mi preparavo da sola in cucina, mescolando la polvere del caffè con lo zucchero. Il cibo mi dava una certa resistenza alla fatica, mentre il caffè mi teneva sveglia. A tavola divoravo ogni cosa, olive conzate, gattò di patate, frittata con il sugo. Nel giro di un anno ero diventata obesa.

Oggi direbbero che si trattava di un disturbo dell’alimentazione, forse una bulimia. Mia madre non capiva il problema e ogni volta che provavo a mangiare di meno s’infilava in cucina così che io, al ritorno da scuola, trovavo la tavola apparecchiata con i miei piatti preferiti.



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